- Rom, una parola non basta adefinire 22 comunità diversehps://www.ilfaoquodiano.it/2017/12/05/rom-una-parola-non-basta-a-de"nire-22-comunita-diverse/4019438/Rom, una parola («la povertà») non basta a spiegare ogni problema. Ripartiamo dallaCostituzione e dalla legalitàL’articolo di Carlo Stasolla pubblicato su Il Fatto quotidiano del 5 dicembre 2017 («Rom, unaparola non basta a definire 22 comunità diverse») ha due meriti fondamentali: 1) mette in guardiacontro chi sfrutta la questione rom per trarre vantaggi economici; 2) informa un pubblicoverosimilmente vasto e non specializzato circa l’indubbia complessità del mondo rom e – aspettospesso ignorato dai più – il suo antico insediamento in Italia (XIV secolo). La disinformazioneprepara il terreno al pregiudizio e alle scorciatoie del pensiero, come quando – aggiungiamo noi –viene posta dall’opinione pubblica la (frequente e molto discutibile) equivalenza tra “rom” e“romeni” o tra “rom” e “nomadi”. Sappiamo quanto le generalizzazioni siano, in qualsiasi contesto,delle mortificazioni, spesso esiziali, della realtà, e come, nello specifico contesto della comunitàromanì, contribuiscano a compromettere il già difficile dialogo sociale.Detto questo, frammentando la minoranza romanì in «107 condizioni socio-culturali differenti» edenfatizzando la diversità di «dialetti, religioni, tradizioni», Stasolla finisce per cadere nell’eccessoopposto, aprendo da un canto la via ad altre forme di pregiudizio in merito alla possibilità stessa diammettere l’esistenza, in Italia, di una comunità romanì dotata di una cultura e di una linguasufficientemente unitarie; e, dall’altro, depotenziando legittime rivendicazioni di ordine culturale,già molto osteggiate dalla nostra classe dirigente. Mi riferisco in particolare all’istanza, formulataanche da una parte rappresentativa e qualificata della comunità romanì, e alla quale ho dato unpersonale contributo, della pur tardiva applicazione, anche per i rom, di uno dei principifondamentali della Costituzione della Repubblica italiana, l’articolo 6: «La Repubblica tutela conapposite norme le minoranze linguistiche».Gli argomenti di Stasolla sono più che discutibili: quando afferma che «una parola non basta adefinire 22 comunità diverse», il Presidente dell’Associazione 21 luglio propone al lettoreargomenti che, in realtà, potrebbero essere estesi ad altre minoranze linguistiche storiche delterritorio italiano: quali comunità linguistiche minoritarie non sono in effetti rappresentate, in varigradi, «da culture fuse e compenetrate con tipicità delle popolazioni locali, da cui sono scaturitemescolanze, contaminazioni, strategie di visibilità o mimetizzazione»? Pensiamo alle comunitàlinguistiche francoprovenzali, caratterizzate da un’eccezionale variazione linguistica sia in areaalpina (a cavallo di Italia, Svizzera e Francia) sia in area periferica, quei due straordinari comuniincastonati nei Monti Dauni in provincia di Foggia, Faeto e Celle di San Vito, dove sopravvive doposette secoli una varietà di francoprovenzale alquanto mescolata con le parlate locali (lessico,fonetica e sintassi). O pensiamo alle cinquanta comunità di lingua arbëreshe (italo-albanesi), sparse
per il meridione insulare e peninsulare: benché dotate di forti simboli unificatori (su tutti, ilcondottiero Skanderbeg, eroe nazionale albanese e “paladino della Cristianità”), in queste comunitàla lingua minoritaria è molto variamente parlata dalle popolazioni locali, come anche variano nelloro seno i sentimenti linguistici e il senso d’identità – alquanto misto tra l’appartenenza allo Statoitaliano, il ricordo della madrepatria albanese e la consapevolezza di un’identità arbëreshecomunque irriducibile tanto all’una quanto all’altro. Se poi parliamo di tradizioni, stupirà come labevanda tradizionale di una di queste cinquanta comunità italo-albanesi, Lungro (CS), sededell’Eparchia degli italo-albanesi d’Italia, sia il… mate argentino! dovuto a fenomeni migratori piùrecenti che portarono molti lungresi a stabilirsi nel continente sudamericano. Ma gli esempi diquesto tipo sono innumerevoli.La verità è che la storia di ogni comunità cosiddetta «etnica» è fatta di mescidazioni,contaminazioni, stratificazioni, disseminazioni, e le varietà linguistiche riflettono questa dinamicache è semplicemente naturale. In Europa solo il popolo basco può vantare due caratteristichesingolari: una lingua di origine non indoeuropea e, come affermato da Luigi Luca Cavalli Sforza,specifiche caratteristiche a livello di gruppo sanguigno (elevata incidenza del fattore Rh negativo)che possono spingerci a pensarlo come uno dei popoli più antichi del Vecchio Continente. Quanto anoi, è la stessa nozione di Italia e di italianità che dovrebbe suggerire quanto complesso sia iltessuto sociale, culturale, linguistico e persino economico di un Paese de jure unitario. Senzascomodare, come infelicemente fa Stasolla, «il dottor Mengele», ricorderò come una recente ricercaitaliana, pubblicata su un’autorevole rivista scientifica internazionale, dimostri come il nostro paesesia uno dei più ricchi in termini di diversità linguistica e genetica di tutta l’area del Mediterraneo1.Dobbiamo per questo dedurne, sulla scia di Fabrizio Rondolino, che «l’Italia non esiste?». Direiproprio di no.In sintesi, così come, a proposito delle comunità di minoranza linguistica, non si deve indulgere néalla «cartolina» né al folklorismo, cioè alle rappresentazioni stereotipe ed etnotipiche, non bisognaneanche scadere in un relativismo che azzeri ogni tratto identitario risolvendo, nel caso specifico, iproblemi del mondo rom alla sola questione economica, come propone Stasolla in chiusura del suoarticolo.Non ho fatica a ritenere che non tutto passi per il denaro, e che l’ostracismo di cui è vittima laminoranza romanì, soprattutto in Italia, dev’essere interpretato anche in chiave sociale e culturale.Quel che è veramente importante è non contrapporre le azioni urgenti (il soccorso incondizionato achi vive in situazioni precarie e pericolose per la propria e altrui incolumità) alle azioni sul medio elungo periodo, quali sono per l’appunto le azioni di sviluppo sociale e culturale, generalmentesilenziose e poco spettacolari ma molto spesso tanto più incisive.Ripartiamo quindi dal nucleo fondativo della nostra comunità, la Costituzione, ed estendiamo allaminoranza romanì la tutela che altre dodici minoranze linguistiche d’Italia si sono viste riconoscerecon la legge statale n. 482 del 1999 («Norme in materia di tutela delle minoranze linguistichestoriche») e con diverse leggi regionali. La proposta di legge depositata dall’On. Gianni Melilla e daaltri venti parlamentari2è di natura patrimonialista e non droitdelhommiste e non prevede alcun«diritto speciale» per i rom, come paventa Stasolla. Si tratta di una proposta volta unicamenteall’applicazione dell’art. 6, al riconoscimento cioè da parte dello Stato italiano della minoranzaromanì come minoranza linguistica di antico insediamento. Si dirà che questo riconoscimento è benpoca cosa rispetto alle urgenze del mondo rom, ma in realtà potrebbe nel tempo contribuire a1Capocasa et al. 2014. «Linguistic, geographic and genetic isolation: a collaborative study of Italian populations», Journal ofAnthropological Sciences, vol. 92, pp. 1-32.2Proposta di legge ordinaria 3162 a firma di Gianni Melilla et al., « Modifiche alla legge 15 dicembre 1999, n. 482, e altredisposizioni in materia di riconoscimento della minoranza linguistica storica parlante la lingua romanì». <www.camera.it/leg17/126?tab=8&leg=17&idDocumento=3162&sede=&tipo=>.
migliorare di molto i rapporti tra la comunità di minoranza e il potere centrale: attraverso un patto direciproco riconoscimento; il rispetto dei principi costituzionali e la conseguente simbolicariparazione storica delle violenze subite dai rom durante la Seconda Guerra mondiale; l’incentivoallo studio della lingua e alla sua codificazione (non rigida ma “polinomica”, secondo il modellocòrso, tollerante cioè delle variazioni dialettali), anche in forma scritta; la disalienazione culturale, ilrecupero della memoria storica e la conseguente riparazione del processo, degradante, di auto-odio.Questi sviluppi virtuosi non risolveranno subito tutti i problemi di disagio e devianza, ma darannoun loro contributo, peraltro ben poco oneroso, a migliorare le condizioni di esistenza della comunitàromanì. E, contrariamente a quello che molti credono, è la comunità stessa di minoranza ad averformulato questa istanza di riconoscimento e standardizzazione del romanés, come ho potutoverificare a valle di una recente ricerca sulle rappresentazioni sociali della lingua dei rom e dei sintiin Italia3.Anche se chi non ha casa né cibo chiaramente ci chiederà una casa e del pane, non è mai vero che lequestioni culturali e legate all’identità sono accessorie o marginali. Per il mondo rom,sovradeterminato da ogni tipo di pregiudizio negativo, questo è ancor meno vero.Prof. Giovanni AgrestieFondazione romanì Italia
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