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venerdì 28 ottobre 2016

Analisi e proposte di FRI al 3° congresso delle comunità romanès ed associazioni

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Analisi e proposte di FRI al 3° congresso
delle comunità romanès ed associazioni






3° Congresso Italiano delle comunità romanès e delle associazioni “Welfare plurale e comunitario per il futuro della minoranza romanì - Visioni e strategie a confronto” - L'importante è partecipare … per i perdenti e gli speculatori?
22 e 23 ottobre 2016

Introduzione: analisi e proposte

Abbiamo partecipato e promosso numerosi convegni per la minoranza romanì ed abbiamo sempre ascoltato ed avanzato le stesse promesse, la stessa denuncia dei pregiudizi e della discriminazione verso le comunità romanès, senza mai definire e realizzare una concreta operatività dotata di senso per migliorare le condizioni delle comunità romanès; troppo spesso, ieri come oggi per egoistico personalismo-autoreferenziatità o interessi personali, vengono diffuse informazioni false sulla minoranza romanì che producono discriminazione.

Un detto latino afferma: “La goccia scava la roccia non con la forza ma con il continuo stillicidio.”

Un criminale nazista dichiarava: “Ripetere una bugia cento, mille, un milione di volte, diventerà una verità.”

Le disastrose scelte del passato impongono un radicale cambiamento delle scelte politiche e delle strategie per la minoranza romanì; un cambiamento che deve concretizzarsi con l'esposizione di visioni politiche strategiche basate su idee, non sulle masse, e la loro effettiva realizzazione, su “processi” strutturati dotati di senso e non “prestazioni” occasionali ed estemporanei.

Nel 2009 a Roma il primo congresso delle comunità romanès ha proposto il passaggio dalla mediazione alla partecipazione attiva, e dal 2009 buona è stata la crescita sia delle associazioni che si occupano di rom, sia della partecipazione attiva dei rom. Lo sviluppo di questa idea è ancora limitato, spesso strumentalizzata, troppe volte folclorizzata.

Nell'anno 2013 il secondo congresso delle comunità romanès e delle associazioni ha promosso la partecipazione attiva e qualificata dei rom ed una politica per la lingua-cultura romanì, dopo questa inziativa abbiamo registrato la redazione di alcune proposte di legge nazionale e regionale per il riconoscimento della lingua-cultura romanì, e pochissimi processi formativi per la partecipazione attiva e qualificata del rom.
Nell'ultimo triennio numerosi sono gli esempi di iniziative promosse da associazioni e da istituzioni che richiamandosi teoricamente a queste “idee” le hanno stravolte, permettendo la realizzazione di iniziative peggiori del disastroso passato.

- Ha un senso promuovere una proposta di legge per la minoranza romanì con un articolato ricco di diritti e di politiche differenziate?

- Ha un senso la partecipazione attiva di rom senza un minimo di conoscenze-competenze ed esperienze visibili e documentate?

- Ha un senso continuare a sostituirsi alle comunità romanès nella definizione del futuro?

- Ci chiediamo se oggi ha un senso avviare processi formativi di persone rom senza definire dei re-quisiti minimi ed essenziali per accedere a questi percorsi?

- Ha un senso che le istituzioni ed associazioni siano attive per creare piattaforme di giovani rom o di donne rom, quando non esiste, e forse non si vuole realizzare, una piattoforma di partecipazione attiva e qualificata di rom (uomini e donne – adulti e giovani), specifica e non esclusiva, per definire il futuro della minoranza romanì?

Partecipazione attiva

In linea generale la partecipazione attiva di rom senza conoscenze e competenze è peggio del passato, ed è dimostrato da quando accade negli ultimi anni.

Occorre certamente investire sui giovani rom con processi formativi che partendo dal possesso di precisi re-requisiti di base, permettano di acquisire conoscenze e competenze teorici e pratici.
Numerosi sono gli esempi che vedono la partecipazione dequalificante dei rom ai processi decisionali (anche per una precisa strategia degli enti locali e delle istituzioni nazionali ed europee), questo comporta la loro deresponsabilizzazione, e quindi di fatto la loro esclusione dai processi decisionali.

A queste derive opacizzanti ed escludenti occorre contrapporre oggi un approccio conoscitivo e dialettico che può riassumersi nelle parole-chiave riconoscimento, partecipazione, responsabilizzazione:

- Per riconoscimento intendiamo il riconoscimento della personalità culturale della comunità romanì, intesa come «minoranza linguistica», affinché il patrimonio culturale contrasti la perdita d'identità foriera di disistima e, quindi, di devianza. Inoltre può contribuire a cogliere elementi non secondari della storia e della mentalità, della visione del mondo della comunità romanì, e quindi a favorire la dialettica sociale, culturale e politica con e all'interno di essa.

- Per riconoscimento intendiamo anche il superamento non solo del concetto segregante e opacizzante di «campo», ma anche di quello, recentemente proposto, di «microarea», quando quest'ultima sia ad appannaggio esclusivo della comunità romanì e non generalizzato all'insieme della popolazione di un dato territorio bisognosa di alloggio.

- Per partecipazione intendiamo una partecipazione attiva e qualificata dei rom nei vari processi consultivi e decisionali, laddove per «qualificata» si intende dotata di conoscenze-competenze professionali e requisiti morali.

- Questa partecipazione e riconoscimento sopra indicato sono momenti di un unico movimento che si completa con la responsabilizzazione dei rom i quali diventano artefici del proprio destino e della difesa della propria identità nel pieno e aperto dialogo con il tessuto sociale e culturale del territorio in cui si trovano a vivere.

Oggi in questi due giorni di confronto, in continuità con i predenti congressi, vogliamo cercare soluzioni per abbattere le distorsioni ed eliminare equivoci ed incomprensioni che hanno condotto al fallimento gran parte dei classici interventi di alfabetizzazione, mediazione culturale, assistenzialismo, politiche differenziate e folclorismo, e che sono l'ennesimo fattore di criticità che radicalizza “l'ostracismo” verso tutta la minoranza romanì, e vogliamo farlo iniziando a:

 
  1. mettere a confronto le diverse visioni politiche strategiche per il futuro della minoranza romanì per definire, convidere e realizzare una operatività programmatica di un welfare plurale e comunitario, con processi interculturali di partecipazione qualificata dei rom, specifica e non esclisiva, ed il coinvolgimento delle comunità.
  2. rovesciare la dicotomia “oggetto-soggetto” per la minoranza romanì con processi di partecipazione attiva qualificata del rom e di cittadinanza attiva romanì delle comunità romanès
Senza timore di peccare di presunzione Fondazione romanì Italia ha dimostrato di essere la protagonista del cambiamento con un agire che sta mettendo in crisi il paradigma delle politiche pubbliche, l'approccio “multiculturalista-differenziato” della tematica romanì ed anche le rivendicazione della nostra minoranza, con l'attivazione di nuovi approcci, nuove strategie e nuove soluzioni, nella dimensione interculturale.

Visione politica strategica

Gran parte delle associazioni che si occupano delle comunità romanès dovrebbero avere una visione politica ed organizzativa strategica, per sapere DOVE andare e come andarci,

Evidentemente per nostra disiformazione (!) in Italia non vediamo associazioni che si occupano di comunità romanès con una chiara visione politica strategica, e spesso sono spinte da azioni occasioni ed estemporanee.

La visione politica strategica di Fondazione romanì Italia da qualche anno è sviluppata in tutte le aree sociali con processi di community welfare e la strategia della partecipazione attiva e qualificata del rom, specifica e non esclusiva.

Una sfida per contribuire a rinnovare gli strumenti e le metodologie di intervento della politica sociale e culturale; un cambio di paradigma delle politiche pubbliche e delle rivendicazioni; lo sviluppo delle comunità per aprire un impatto alle resistenze al cambiamento.

Un lavoro di sviluppo delle comunità fondato su un approccio interculturale, sui principi della giustizia sociale, della legalità come cultura dei diritti esigibili, della valorizzazione delle risorse di tutte le componenti sociali, che non vuoldire sbarazzarsi del welfare state, quanto piuttosto di dare ad esso un senso più compiuto, sviluppando la vocazione autonoma delle comunità verso maggiore responsabilizzazione e protagonismo.

Oggi non è difficile immaginare le difficoltà per un modello di welfare come quello dello “stato sociale“ tutto concentrato sui bisogni materiali ed intorno alle istituzioni, nel far fronte a bisogni sociali e culturali chiaramente di tipo immateriale.

“Per influenzare le problematiche sociali e culturali, occorre influenzare gli ambienti sociali e culturali”, facendo interagire conoscenze di tipo oggettivo e soggettivo e diversificare i punti di vista, processi che consentono la creazione di legami tra le persone, i gruppi e le organizzazioni.

Un articolato lavoro sul campo con un modello di intervento basato sullo sviluppo delle comunità, e si realizza avviando “processi”, piuttosto che “prestazioni”, per dare risposte anche ai bisogni qualitativi di tipo immateriali, le cui dinamiche sono collocate dentro le comunità, dentro le differenze culturali.

L'esigenza di un significativo legame comunitario è il bisogno più importante degli stessi bisogni materiali.

Avviare processi dinamici di sviluppo delle comunità per produrre e condividere metafore e narrazioni che rendano pensabili nuovi ruoli e nuovi copioni, per rompere un conformismo fatto di tacito consenso delle convinzioni sociali e culturali; un confromismo che alimenta discriminazione, stereotipo e pregiudizio.

Avviare processi ed azioni per recuperare relazioni e spazi nei quali essere ed agire, sviluppando un senso di appartenenza alla comunità, finalizzati alla “normalità” ed “autonomia”.

Segregazione abitativa

La memoria storica impone di abbandonare la segregante e differenziata politica abitativa, orizzontale o verticale che sia, in cui vivono tante famiglie delle comunità romanès, che da molti decenni occupa tutto lo spazio del dibattito pubblico, politico e mediatico, ed avviare una specifica azione di community welfare, con un approccio di “Housing first”.

Housing First si fonda sostanzialmente sul riconoscimento della casa come diritto umano primario, ed è basato sulla costruzione di un programma di supporto condiviso, esclusivamente per il tempo necessario, tra l'ente locale e la famiglia, la quale compartecipa al pagamento dell'affitto fino al tempo necessario della piena autonomia.

Molte ricerche hanno documentato che la disponibilità di una “normale” abitazione è una - condicio-sine-qua-non – che incide positivamente sul benessere socio-relazionale e psico-fisico delle persone, rende possibile l'avvio di processi di auto-stima e empowerment, migliora la disponibilità e le opportunità di inclusione sociale, di identità culturale, di appartenenza ad una comunità.

Conclusioni e proposte

Fondazione romanì Italia è convinta che siano maturi i tempi per fare due scelte
  1. le numerose associazioni ed attivisti che si occupano delle comunità romanès facciano il passaggio dalla MISSION alla VISION, rendere visibile una chiara visione politica strategica inserita in un contesto dotato di senso, per avviare un confronto ed individuare punti di condivisione per formulare proposte e rivendicazioni utili ai bisogni della minoranza romanì..
  2. Avviare i lavori per la costituzione di una Consulta nazionale romanì, eletta dai delegati del prossimo congresso delle comunità romanès e delle associazioni.
Speriamo che nel dibattito e nel confronto di oggi e di domani si possa discutere anche di queste nostre due proposte.
li, 22/10/2016
Fondazione romanì Italia

 


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