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mercoledì 6 aprile 2016

FONDAZIONE ROMANI': DALLA MEMORIA STORICA UNA VISIONE STRATEGICA

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Dalla memoria storica, una visione strategica


8 Aprile 2016 la Fondazione romanì Italia promuove la Giornata Internazionale della popolazione romanì alle ore 10,00 presso la Sala Bigari del Comune di Faenza (RA).

8 aprile si celebra la giornata internazionale della minoranza romanì, in ricordo del primo storico congresso mondiale tenutosi nel 1971 a Orpington Chelsfield, nei pressi di Londra, che vide riuniti intellettuali e politici delle comunità romanès in rappresentanza di vari paesi, stabilendo la denominazione ufficiale “rom” (romanò - romanì- romanipè) per tutte le proprie comunità, il “romanés” per la lingua, la bandiera romanì (una ruota indiana rossa su sfondo verdeazzurro) e l’inno nazionale Gelem Gelem.

8 aprile deve essere celebrato per ribadire l'unità politico-culturale della minoranza romanì e per tracciare con chiarezza la via del futuro per migliorare le condizioni di vita delle comunità romanès.


Con queste motivazioni la Fondazione romanì Italia celebra ogni anno questa giornata, assegna il premio Ciavò romanò e presenta proposte per tracciare il futuro.
Quest'anno presentiamo "Dalla memoria storica, una visione strategica"


La memoria storica incide sui processi di acculturazione ed inculturazione, contribuisce ad orientare l'evoluzione culturale, lo sviluppo dell'appartenenza culturale e la consapevolezza di essere un "soggetto" destinatario di diritti e doveri.
E' facile dimostrare che la memoria storica come fonte di conoscenza non è stata produttrice di sapienza: l'uomo stolto, impegnato nelle sue guerre politiche, religiose, territoriali, ed ha dimostrato di non aver imparato ad evitare ciò che nel passato lo ha penalizzato.
Non è importante solo ciò che si ricorda o l'atto di ricordare in sé: il nodo fondamentale è il motivo consapevole che porta un uomo a porsi davanti al suo passato e alla storia, cercando di trarre da essa una strategia di comportamento per la vita nel futuro.

Senza memoria storica, una comunità, un popolo, le persone rischiano di perdere e smarrire il significato e il senso profondo della propria identità culturale.

Il nostro tempo è caratterizzato da uno sviluppo tecnologico e scientifico vertiginoso che ha ricadute immediate sulla vita quotidiana e su una società in cui sono venute meno "le grandi narrazioni" che avevano giustificato ideologicamente la coesione sociale e ne avevano ispirato le utopie.

La consapevolezza di tutte le comunità romanès di essere un unico popolo rappresenta il baricentro dell'azione politica e culturale, per contrastare chi soffia sulla divisione per fini strumentali e speculativi, generando ostacoli all'esercizio dei diritti.

- La memoria storica mette chiaramente in evidenza che nel corso degli anni il tema delle comunità romanès è stato oggetto di numerose distorsioni politiche e culturali, di gravi violazioni costituzionali ed istituzionali: molti hanno agito senza coerenza tra i dichiarati principi costituzionali e la loro effettiva applicazione; tante organizzazioni politiche hanno utilizzato stereotipi e pregiudizi verso le comunità romanès per alimentare la propaganda; tanti hanno utilizzato le comunità romanès per nutrire il personale narcisismo ed interessi personali.

Gli enti locali da diversi decenni per la minoranza romanì estremizzano i concetti di “garanzia”, di “riparazione” e di “assistenza” del “welfare state” e le esperienze sul campo mettono in evidenza lo strutturale fallimento di questo modello di sviluppo degli interventi che non ha prodotto i benefici sperati ed ha sviluppato una mentalità assistenziale.

Con queste distorsioni ed un approccio “multiculturalista-differenziato” della tematica romanì i classici interventi di alfabetizzazione, mediazione culturale, assistenzialismo, politiche differenziate e folclorismo sono l'ennesimo fattore di criticità che radicalizza “l'ostracismo” verso tutta la minoranza romanì, con elementi di rifiuto e di apartheid tesi ad escluderla, consapevolmente e deliberatamente, da qualsiasi forma di inclusione relazionale e culturale a livello personale e di comunità.

La fragilità del tessuto socio-relazionale con la minoranza romanì alimenta problematiche che creano un circolo vizioso fatto di esclusione, marginalizzazione, discriminazione, e generano anomia, spersonalizzazione e frammentazione.

E' urgente un agire politico e culturale, nella dimensione  interculturale, che metta in crisi i paradigma della "proposta pubblica” e le rivendicazioni. Un articolato lavoro sul campo con un modello di interventi basato sullo sviluppo delle comunità, avviando “processi”, piuttosto che “prestazioni”, per dare risposte anche ai bisogni qualitativi di tipo immateriali, le cui dinamiche sono collocate dentro le comunità.

Per influenzare le problematiche sociali e culturali, abbiamo bisogno di influenzare gli ambienti sociali e culturali”, facendo interagire conoscenze di tipo oggettivo e soggettivo e diversificare i punti di vista, processi che consentono la creazione di legami tra le persone, i gruppi e le organizzazioni.

Avviare processi dinamici di sviluppo delle comunità che sappiano produrre e condividere metafore e narrazioni che rendano pensabili nuovi ruoli e nuovi copioni, per rompere un "conformismo" fatto di tacito consenso delle convinzioni sociali e culturali che alimenta discriminazione, stereotipo e pregiudizio.

Un lavoro di sviluppo delle comunità fondato su un approccio interculturale, sui principi della giustizia sociale, della legalità come cultura dei diritti esigibili, della valorizzazione delle risorse di tutte le componenti sociali, con la strategia della partecipazione attiva e qualificata del rom, specifica e non esclusiva, laddove i requisiti etici, morali e professionali sono fondamenti imprescindibili.

Un lavoro di sviluppo delle comunità non vuoldire sbarazzarsi del welfare state, quanto piuttosto di dare ad esso un senso più compiuto, sviluppando la vocazione autonoma delle comunità, una maggiore responsabilizzazione e protagonismo.

Esistono tutte le premesse necessarie per avviare processi di “welfare community”, tocca alle stesse istituzioni dello "stato sociale" assolvere oggi ad una funzione di “maternage”, sostenendo le comunità a ritrovare e realizzare quella essenza di comunità.

E' la memoria storica ad imporre la ricerca di nuovi approcci, nuove strategie e nuove soluzioni, nella dimensione interculturale, tra le diverse comunità del territorio, che diano risposte efficaci ai bisogni materiali ed esistenziali, di tipo immateriali, delle comunità, con processi di sviluppo le cui dinamiche sono all'interno delle comunità stesse e delle differenze culturali.

L'esigenza di un significativo legame comunitario è il bisogno più importante degli stessi bisogni materiali.

E' la memoria storica ad imporre di abbandonare le classiche “PRESTAZIONI” per le comunità romanès, ed avviare PROCESSI di communty welfare, con specifiche azioni in ciascuna area sociale con il supporto a tempo determinato.
Azioni basate sulla definizione e condivisione di percorsi indivuali e di comunità, sull'analisi riflessiva della comprensione dei bisogni del soggetto e del contesto, sull'evoluzione interculturale del conflitto identario, sull'auto-determinazione delle scelte da fare, sulla definizione del ruolo sociale.

La nostra proposta avvia processi per un cambiamento di paradigma delle politiche pubbliche e delle rivendicazioni per la minoranza romanì.

Per esempio è la memoria storica ad imporre di abbandonare la segregante e differenziata politica abitativa, orizzontale o verticale che sia, in cui vivono tante famiglie delle comunità romanès, che da molti decenni occupa tutto lo spazio del dibattito pubblico, politico e mediatico, ed avviare una specifica azione di community welfare, con uno specifico approccio di “Housing first”.

Un approccio di Housing first basato sulla costruzione di un programma di supporto condiviso, per il tempo necessario, tra l'ente locale e la famiglia, la quale compartecipa al pagamento dell'affitto fino al tempo necessario della piena autonomia.

Il modello di Housing first, nato negli Stati Uniti, suscita molto interesse e dal 2006 si diffonde in alcuni Stati Europei anche con iniziative nel programma europeo PROGRESS. Il modello di Housing first si fonda sostanzialmente sul riconoscimento della casa come diritto umano primario, ed è integrato da due presupposti ontologici:

la dimensione individuale che riconosce alla persona la capacità di acquisire uno stato di benessere psico-fisico pur in presenza di gravi condizioni di esclusione sociale e culturale

la dimensione ambientale che collega l'efficacia della stabilità abitativa al ripristino attorno alla persona della struttura relazionale e comunitaria rappresentata dalla  disponibilità di una casa, dal supporto dell’equipe pubblico-privato per definire il proprio ruolo sociale, dall’interazione socio-culturale e dalla comunità.

Molte ricerche hanno documentato che la disponibilità di una “normale” abitazione è una - conditio-sine-qua-non – che incide positivamente sul benessere socio-relazionale e psico-fisico delle persone, rende possibile l'avvio di processi di auto-stima e empowerment, migliora la disponibilità e le opportunità di inclusione sociale, di identità culturale, di appartenenza ad una comunità.

Queste ricerche hanno documentato il successo di inziative che sono precisamente il contrario di quando è stato fatto e continua ad essere fatto ancora oggi per le comunità romanès.

La nostra proposta è una sfida che, avvalorando principi e valori che ispirano la politica sociale e culturale, possa portare a rinnovare gli strumenti e le metodologie di intervento, con processi per condurre la persona a ritrovare l'essenza di comunità ed azioni per rinsaldare il legame individuo-comunità-società che consenta alle persone di recuperare relazioni e spazi nei quali essere ed agire, sviluppando un senso di appartenenza alla comunità.

La nostra proposta vuole contribuire ad aprire nel contesto sociale, politico, culturale ed economico italiano un impatto alle resistenze al cambiamento, e rendere visibile un cambio di paradigma nelle politiche per il contrasto alla esclusione sociale e culturale, alla discriminazione.

Infine, la nostra proposta non è un assunto astratto oppure una delle tante denunce convenzionali, ma una visione strategica che concretamente stiamo realizzando.

 
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Fondazione romanì Italia

Via Rigopiano n. 10/B  - 65124 Pescara  tel. 3299135259  - 3277393570


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