Ancora oggi le popolazioni Rom e Sinti sono oggetto di razzismo e marginalizzazione sociale. Perché è importante capirlo.
Il rapporto delle popolazioni Rom e Sinti con le popolazioni sedentarie
è stato sempre problematico e complesso, segnato da rifiuti, rimozioni e
violenze. La categoria del «Rom – zingaro - nomade» è stata il frutto
di politiche che dal 1400 fino ad oggi hanno cercato di classificare
«l’Altro» al fine di dominarlo e controllarlo.
Infatti i Rom,
dalla nascita degli Stati nazionali fino ad oggi, sono stati spesso
percepiti come non-cittadini, considerati indegni di beneficiare dei
servizi che lo Stato poteva offrire loro. Le relazioni tra Rom e gagé
(non-Rom) si sono così sviluppate tra pregiudizi e stereotipi, che hanno
portato alla separazione, alla marginalizzazione ed in alcuni casi allo
sfruttamento dei Rom stessi.
Agli inizi del secolo scorso, la
presunta «asocialità zingara» è stata addirittura considerata, come una
caratteristica genetica ed ereditaria. Il regime nazista adottando le
idee introdotte nel dibattito pubblico dal darwinismo sociale, considerò
i Rom e i Sinti come razze deboli e inferiori che avrebbe potuto
infettare la Germania. Robert Ritter, Adolf Würth, Eva Justin e altri
ricercatori che lavorarono all’interno dell’Unità di Igiene Razziale del
Reich diedero seguito a queste tesi arrivando a definire il gene del
«Wandertrieb», il gene dell’istinto al nomadismo, come fattore specifico
che rendeva i Rom una razza impura.
Di conseguenza, il regime
nazista cercò una soluzione adeguata, razionale, pianificata e
scientificamente informata per risolvere questa situazione. La risposta
venne trovata nel “totale isolamento dei soggetti patogeni ed infetti,
attraverso la completa separazione spaziale e la successiva distruzione
fisica”. Gli ebrei, gli omosessuali, gli immigrati, i renitenti alla
leva (tra cui i Testimoni di Geova) e tutte quelle persone considerate
«anti- sociali» (Rom e Sinti, lesbiche, anarchici, senzatetto,
alcolisti, malati mentali e prostitute furono così coinvolte nella più
grande operazione di ingegneria sociale mai intrapresa nella storia
dell’umanità.
Nel 1942 Otto Thierack, ministro nazista della
Giustizia introdusse il principio di sterminio attraverso il lavoro come
metodo per liberare il popolo tedesco da questi individui. Al giorno
d'oggi, determinare la percentuale di Rom che morirono nel Porrajmos
(Grande Divoramento) non è facile. Le cifre approssimative stimano che
nel corso degli anni morirono da 500.000 a 1.500.000 persone
appartenenti alle comunità Rom e Sinti. Nonostante questo solo nel 1982,
la Germania Ovest riconobbe lo sterminio sistematico delle popolazioni
Rom sotto il regime nazista. Fino a tale data l'atteggiamento del Europa
nei confronti delle popolazioni Rom è stata considerata da diversi
studiosi come assolutamente inadeguata. Ad esempio, nessun Rom fu
chiamato a testimoniare al Processo di Norimberga e nessun
riconoscimento economico fu dato ai familiari delle vittime coinvolti
nello stermino nazista.
A differenza degli ebrei la cui
esperienza dell'Olocausto diede alla luce una rinnovata militanza
politica e un’elaborazione anche artistica delle atrocità subite, i Rom
furono messi a tacere. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa
le comunità Rom erano un popolo decapitato, alla ricerca di qualcuno
che li potesse aiutare a comprendere cosa era appena accaduto. Trovarono
invece un muro di silenzio da parte delle autorità. Nessun
risarcimento, nessuna scusa, nessun film o narrazione pubblica, nessuna
nuova terra dove stabilirsi.
Riprendendo alcune delle riflessioni
di Hannah Arendt, esposte, in particolare, nell’opera "La banalità del
male. Eichmann a Gerusalemme", le atrocità commesse in quel periodo
furono portate a termine da persone «terribilmente normali» e non da
perversi né da sadici. Da persone calate, semplicemente, nella realtà
che avevano davanti: lavorare, cercare una promozione, riordinare numeri
sulle statistiche.
Ancora oggi le popolazioni Rom e Sinti sono
vittime di processi di marginalizzazione e ghettizzazione perpetrati
dalla società maggioritaria. Per questi motivi è perciò importante
considerare la storia delle popolazioni Rom e Sinti come un frammento
importante di una Storia Europea condivisa da preservare perché i
diritti di tutti vengano rispettati.
(Fonte: L'Eco delle Valli Valdesi)