Permettetemi di dire che quanto avvenuto al campo sinti di via erbosa a Bologna in seguito alla provocazione, cioè alla “visita” di Matteo Salvini, consente finalmente di tirare fuori un dato su cui riflettere davvero a fondo.

Oggi voglio proporvi un piccolo gioco di fantasia: immaginate che vi assegnino una casa popolare, che ci viviate con la vostra famiglia così come fanno tante altre famiglie in Italia e che un giorno Matteo Salvini, segretario della Lega Nord ed eurodeputato voglia venire per forza a casa vostra a vedere cosa ci fate dentro. Non trattandosi di forze dell’ordine e non avendo commesso alcun reato, sareste soltanto voi a poter decidere se ospitarlo o meno all’interno delle vostre mura domestiche.
Siamo giunti rapidamente al nocciolo della questione. Riflettete per un attimo che tipo di sospensione del diritto si applica invece giornalmente all’interno dei campi nomadi italiani.
I sinti di Bologna, come tutti quelli presenti in Italia, non hanno mai scelto di vivere in quei luoghi; sono state le istituzioni pubbliche a pensarli per loro, immaginandoli nomadi, primitivi, ladri e persone da rieducare. Vi sorprenderà sapere che invece nessuno di quei soggetti è nomade, ma semmai è dedito a lavori itineranti; fare il giostraio però non significa non avere una residenza né equivale alla volontà di non fermarsi mai. Se volessimo affermare ancora oggi l’idea di trovarsi di fronte a gruppi nomadi, dovremmo condividere la tesi che tra rom e sinti sia presente un “gene del nomadismo” immodificabile ed ereditario. Fu la tesi difesa da nazisti e fascisti e che portò queste persone sui carri bestiame diretti ad Auschwitz. Rom e sinti invece uscirono dai campi di concentramento privati di ogni avere (avevano tolto loro carri, cavalli ed ogni tipo di proprietà) per poi essere invitati una ventina di anni dopo ad accomodarsi dentro ad aree che già erano ghetti.
Li si immaginava nomadi ed allora si pensò alla costruzione di una sorta di camping etnici che vennero chiamati “campi nomadi”, li si credeva primitivi e dunque si pensò che una doccia ed un bagno chimico potessero bastare per cinquanta persone, li si immaginava irrazionali ed allora si obbligarono a seguire scuole differenziali fino agli anni Ottanta (negli scantinati delle scuole-avvenne anche a Prato) come si faceva anche per i disabili. Vivere nel campo nomadi era obbligatorio, chi tentava di uscirne dovette addirittura ricorrere al Tar per ottenere il diritto ad abitare altrove. L’idea era quella che ci dovesse essere la rieducazione di queste persone considerate tutte, per cultura (ma “per cultura” negli anni duemila è il termine “gentile” per non adoperare la parola “razza”) un gruppo di delinquenti, dai bambini in fasce fino agli anziani centenari.
Non è necessario schierarsi oggi a favore o contrari rispetto all’intervento violento nei confronti dell’almeno provocatoria visita di Salvini (uno che ha sempre parlato di rom e di sinti come carne da macello da rinchiudere nelle gabbie), basta soffermarsi sugli antefatti. Il nostro sistema di progettazione sociale ha creato e continua a giustificare l’esistenza di luoghi come i campi nomadi, dove persone adulte incensurate continuano a doversi sentire “in casa di altri”; sotto la tutela dei più svariati soggetti che possono a proprio piacimento controllare, vedere, valutare e provocare senza mai dover chiedere il permesso ai diretti interessati. Ogni campo nomadi ha poi un regolamento imposto dai comuni che dice anche se chi vi abita possa o meno ospitare parenti ed amici (i comuni più svegli evitano naturalmente di adempiere a simili bestialità).
Quanto avvenuto in via Erbosa a Bologna dice soprattutto questo: esistono ancora luoghi abitati da rom e sinti in cui si applica una sospensione del diritto; allora può succedere che un qualsiasi politico che li ha sempre considerati ad un livello forse più basso delle bestie, possa decidere a proprio piacimento d’entrare nelle loro case, senza neppure dover mai interpellare gli abitanti di quelle abitazioni. È soprattutto questo il dato di cui prendere coscienza. Non mi interessa schierarmi sulla reazione dei centri sociali contro Salvini; si sappia però che il segretario leghista era in quel campo come atto dimostrativo: pochi giorni prima una ragazza sinta era stata ripetutamente offesa dalla consigliera leghista Borgonzoni anche lei in visita "rieducativa" al campo e la ragazza aveva infine reagito con un sonoro schiaffo sulla guancia della rappresentante del comune. La mia solidarietà va tutta a questa splendida ragazza.