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Mediazione culturale: tra dubbi e prospettive

Mediazione culturale: tra dubbi e prospettive
Di Fabrizio (del 09/04/2014 @ 09:01:02, in lavoro, visitato 71 volte)
 

immagine da Didaweb-mediazione culturale

Vorrei fare ragionamenti magari antipatici, ma realistici, da continuare anche in seguito se ci fosse interesse sull'argomento.
Lo scorso gennaio veniva lanciato ANCHE in Italia il programmaROMED2-ROMACT. Qualche giorno prima, stavo parlando con una romnì, mediatrice scolastica, già sottopagata e che da qualche mese non riceveva nessuno stipendio. Forse ingenuamente, mi chiedeva come mai lei non fosse stata interpellata e chi potesse far valere i suoi diritti.
Partirò da queste due facce della stessa medaglia per alcune considerazioni:
  1. Cominciando con la mia amica: è mediatrice scolastica (non mediatrice culturale) da decenni. Per quanto abbia ormai una più che discreta professionalità, con le sue competenze non saprebbe ricollocarsi sul mercato del lavoro. Quindi è "condannata" ad un lavoro magari utile professionalmente, magari persino appagante per chi altrimenti sarebbe disoccupata.
  2. Ho conosciuto in passato mediatrici sanitarie (non mediatrici culturali), che da tempo, per esaurimento delle convenzioni, hanno smesso di esserlo. Nessuna è mai riuscita a "riciclarsi" nei campi sanitario - infermieristico - assistenziale. Incapacità loro, formazione professionale insufficiente, o il vecchio paradigma che se sei rom ti chiudono comunque la porta in faccia (al di là della tua preparazione o della tua motivazione)?
  3. La somma dei primi due punti da come risultato un quasi-lavoro, che rischia di mantenerti nel tuo ambito di sempre (che può essere il campo-sosta, o la consorticola politico-intellettuale del padrinato socio-assistenziale), e l'illusione di avere un ruolo sociale attivo nell'emancipazione del tuo gruppo (o quantomeno personale). Ma col passare del tempo, quella che potrebbe essere una palestra per affrontare la società esterna e passare ad un'occupazione che interagisca con la società maggioritaria, diventa una gabbia autoreferenziale e parimenti ghettizzante.
Il primo interrogativo è puramente STATISTICO: quanti Rom e Sinti che in passato hanno svolto ruoli (retribuiti) di mediatori, hanno mantenuto l'occupazione sino a oggi? Con quali risultati (personali e collettivi)? Se oggi non lo sono più, cosa fanno? L'attuale rilancio della figura dei mediatori (culturali o no), tiene conto dei risultati precedenti?
La seconda questione riguarda l'aspetto politico-economico: in queste politiche
  • il gagio (o il rom "gagizzato") è un CONSULENTE;
  • il rom o il sinto è un MEDIATORE.
Non è solo un gioco di parole: il CONSULENTE mercanteggia il proprio compenso (alto o basso che sia), il MEDIATORE no.
Ciò detto, qual è il compenso di un mediatore, quale il suo orario, quali i suoi compiti? Le ultime due domande, purtroppo, si prestano alle risposte più varie: i compiti ognuno li interpreta come crede, e anche l'orario finisce per essere una cosa discrezionale. Quanto al compenso, se torno alle figure conosciute in passato, per quanto in periodi meno caratterizzati dalla crisi odierna potessero far gola ad una popolazione il cui tasso di disoccupazione rimane il più alto in Europa, quanti di loro se la passavano meglio facevano comunque conto su altre fonti di ingresso. Dal punto di vista economico, la figura di mediatore non significava in alcun modo l'AUTONOMIA.
Per il momento, non entro nelle questioni dei compiti, della corresponsabilizzazione e della formazione professionale.
Il mio parere (ma discutendone sono disposto a cambiarlo) è che OGGI la mediazione culturale è un business per chi la propone, per chi organizza e gestisce la fase di START UP, piuttosto che un'opportunità lavorativa che porti all'emancipazione.
Noto anche che l'Italia, arrivando buon'ultima anche in questo caso rispetto ad altre esperienze europee, può scegliere tra scimmiottare quanto sta già accadendo altrove o viceversa provare a ribaltare questa deriva propria dell'Unione Europea.
Soluzioni? Non ne ho, ecco il senso del discutere. A pelle, proprio guardando quanto sta GIA' ACCADENDO in Europa, ho l'impressione che quei fondi potrebbero essere spesi meglio se dedicati ad una pragmatica politica di scolarizzazione e di formazione lavoro. Ma, anche qua, discutiamone.
Se qualche lettore si fosse, a torto o ragione, impermalosito, non avevo l'intenzione di provocarlo, anche perché quando ho avuto l'occasione pure io ho partecipato a programmi di mediazione.

Approfondimenti:
#mediazioneculturale #europa

CeAS e @casadellacarita raccontano tre storie contro il pregiudizio

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